Per una nuova finanza pubblica. No al mantra de “I soldi non ci sono”

La miglior dimostrazione della crisi verticale della democrazia rappresentativa è ancora una volta data dalla disarmante campagna elettorale ormai entrata nel “vivo”.

Dopo tre anni passati a inculcare negli italiani la centralità del debito pubblico, la sacralità dello spread e la bontà necessaria delle politiche di austerity, ecco tutti coloro che si candidano a governare immersi di nuovo nel gioco topografico del “chi si allea con tizio, giammai con caio”, rigorosamente esibito all’interno del binomio palazzo/talk show.

Quasi certo l’esito di questo gioco: chiunque ne uscirà vincitore, dopo l’usuale annuncio di voler governare per il bene del Paese, dirà che il problema del debito pubblico è centrale, che sarà necessaria una manovra aggiuntiva per tenere sotto controllo lo spread e che l’approfondimento delle politiche di rigore servono alla credibilità del paese in Europa.

E ripartirà il mantra de “I soldi non ci sono” da ripetere ossessivamente per bloccare ogni rivendicazione o vertenza aperta nel Paese.

Ma la crisi e le sue vie d’uscita sono davvero quelle che ci raccontano? E’ vero che i soldi non ci sono o il mantra serve solo ad inculcare che i sacrifici sono necessari e che, se anche non crediamo più che “privato è bello”, come il referendum sull’acqua ha ampiamente dimostrato, divenga chiaro a tutti che “privato è obbligatorio e ineluttabile”?
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